Campo estivo presso “Libera” del clan Alisei Imola 2

Essere scout significa servire, significa anche mettere a disposizione il proprio tempo per risollevare una situazione di disagio. Per fare propria questa missione il clan Alisei (ragazzi tra i 17 e 21 anni, ndr) del gruppo Scout di Zolino, dopo un anno trascorso ad analizzare la realtà mafiosa, è partito cercando la ‘Ndrangheta a 1000 km di distanza, in Calabria.

A Gioiosa Jonica (RC), tra scheletri di case non finite e sconfinati campi di ulivi, tra l’Aspromonte e lo Ionio, i numerosi giovani hanno partecipato a un campo promosso da “LIBERA, ASSOCIAZIONI, NOMI E NUMERI CONTRO LE MAFIE”, fondata da Don Ciotti, che si occupa del riutilizzo sociale dei beni confiscati, grazie alla legge 109/96.  In questa ridente cittadina sono stati ospitati dall’associazione “Don Milani”, che durante l’anno scolastico si prende cura dei bambini vittime del disagio sociale, offrendo loro un supporto alla crescita e combattendo l’emarginazione.

In questa terra il vento sussurra storie di giovani vittime di mafia e di lotte presenti e passate.

Come quella di Gianluca Congiusta (ucciso nel 2007 per  aver impedito al suocero di pagare il pizzo), Lollò Cartisano (sequestrato per 10 anni e ucciso durante la prigionia), Vincenzo Grasso (freddato con un colpo di lupara per essersi opposto al pizzo sulla sua officina). “Dire no” in terra di Calabria può significare rischiare la vita ma “nascere in questa terra- come dicono i calabresi- non è una disgrazia ma una missione”. Nel loro piccolo la missione dei ragazzi è stata: lavoro agricolo sui campi per la produzione alimentare di pasta, olio e vino per dare un segno tangibile che un’economia e una società libera dalle mafie sono possibili, e lavoro di ristrutturazione delle case sequestrate ai mafiosi per sistemarle e renderne possibile la piena restituzione alla collettività tramite il riutilizzo sociale.

Come detto da Don Ciotti in un incontro avuto con lui  “nelle terre confiscate non si scava solo la terra ma anche le coscienze”: il loro lavoro, quindi, è stato di forte impatto simbolico. Hanno infatti intaccato le coscienze di chi li vedeva impegnati, dimostrando che bisogna “dire di no” e poi adoperarsi per trasformare una denuncia in impegno concreto, rialzando la testa e rimboccandosi le maniche, tutti insieme,perchè “’na nuc intu nu sac nun scrusc” (“una noce sola in un sacco non fa rumore” ma se cominciamo ad essere in due…). Il “Don Milani” è stato anche luogo di condivisione di esperienze, di dialetti, di cibi, di canzoni popolari e di incontro con altri scout, con famiglie, con ragazzi di ogni regione d’Italia disposti a ritagliare parte delle loro vacanze per “sporcarsi le mani”. Durante tutta la settimana testimoni di lotta e dolore sono stati i familiari delle vittime di ‘ndrangheta:  in particolare Donatella e Mario Congiusta, che in nome del figlio Gianluca combattono per il riconoscimento dei diritti dei famigliari delle vittime, hanno accompagnato i volontari.

Sono partiti cercando la ‘Ndrangheta così lontano ma hanno appreso che è un problema nazionale ed internazionale. “Osservare, non giudicare ma cercare di capire”: questa frase di Mons. Brigantini è il punto di partenza per comprendere questo territorio dimenticato che ha bisogno  di aiuto. Quindi, che cosa può fare il buon cittadino imolese per aiutarli? Come risponderebbe Stefania Grasso, prestando attenzione ai piccoli gesti quotidiani: pagando le tasse, i biglietti di autobus e treni, esigendo sempre lo scontrino fiscale, denunciando le iniquità; insomma, essere attenti, informati e vigili nelle scelte di ogni giorno, per una comunità unita e solidale.

Clan Alisei Imola 2

 

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